Rapallo: "Inceneritore? Una scelta superata
Considerazioni e proposte per la pianificazione e la gestione del ciclo integrato dei rifiuti
di Bruno Rapallo* (tratto da Il Ponentino di gennaio 2007)
Il ciclo integrato dei rifiuti è un sistema complesso, che per gli aspetti ambientali, sanitari, occupazionali, economico-sociali ed energetici travalica i confini di ogni specifico ambito territoriale, per assumere valenze di rilevanza almeno nazionale. Le relative problematiche andrebbero quindi affrontate valutandone quantitativamente le complesse interazioni con ambiente, società, economia, occupazione, non solo in ambito locale, ma almeno sino al livello nazionale (e in termini di emissioni di gas-serra e rispetto del Protocollo di Kyoto sottoscritto dall’Italia, persino a livello sovra-nazionale).
La gestione del ciclo dei rifiuti richiede pertanto la messa a punto di un sistema coordinato di politiche, azioni pianificatorie e programmatorie settoriali e nazionali, soluzioni gestionali, impieghi di tecnologie, che consentano i massimi risparmi di risorse non rinnovabili e recuperi di materie seconde e/o energie, unitamente alla sostenibilità economico-occupazionale delle azioni attuate, in un quadro di sicurezza e minimizzazione dei rischi sanitari e ambientali.
Tale approccio ben s’inquadra nei principi dello “sviluppo sostenibile” nelle sue componenti ambientali, economico-occupazionali e sociali integrate, in armonia con le indicazioni e il tipo di cauto sviluppo perseguito dall’Unione Europea.
L’attuale situazione del ciclo dei rifiuti di Genova e Provincia e le scelte di Comune, A.T.O., Provincia e AMIU (che privilegiano la realizzazione d’un enorme inceneritore a Scarpino da 209 milioni di Euro) risentono invece pesantemente d’una visione vecchia e superata, diretta conseguenza d’un Piano Regionale ormai obsoleto (pubblicato nel novembre 1999, venne elaborato nei due anni precedenti, in base a conoscenze tecnologiche, scientifiche, gestionali di ciclo, normative, oltre che ad esperienze nazionali e internazionali, risalenti ai primi anni ’90). Anche il Piano Provinciale dei rifiuti, del marzo 2003, ricalca fedelmente il Piano Regionale con qualche modesto adeguamento sui dati statistici e sulle proiezioni, ma con la stessa impostazione relativa alle alternative di soluzioni gestionali e impiantistiche.
Si noti ad es. che l’attuale % di Raccolta Differenziata (R.D.) a Genova, con l’obsoleto metodo “aggiuntivo” (“campane” sulla pubblica via) rispetto alla raccolta giornaliera dell’indifferenziato, è stimabile intorno al 15 % reale, con una qualità troppo scadente dei materiali raccolti, che non consente di spuntare prezzi decenti dai consorzi tipo CONAI, COREPLA, ecc., mentre in numerosissime realtà internazionali, europee e nazionali, si arriva oggi a valori tra il 50 e il 70 %.
E’ parere ormai diffuso tra i cittadini che sia necessaria una revisione sia del Piano Regionale che del Piano Provinciale dei rifiuti, nei quali dovrebbero essere privilegiati e promossi i seguenti obiettivi/azioni:
· passaggio reale da TARSU a TIA (da tassa a tariffa), definendo una quota variabile della TIA almeno tra 50 e 70 % (come in alcune delle migliori esperienze in Italia), a valle delle verifiche della reale struttura di costi e ricavi di AMIU;
· politiche di progressiva riduzione della produzione dei rifiuti (obiettivo sino al 10 % entro 4 - 5 anni, ad es. incentivando cittadini, attività commerciali e imprese, tramite significative riduzioni sulla quota variabile della tariffa);
· valutare le reali possibilità d’organizzare e promuovere una R.D. di qualità (tramite le forme più innovative di “porta a porta”, da calibrare sulla struttura urbana di Genova e del territorio dell’ATO), che consenta di raggiungere massimi livelli di R.D. almeno compresi tra 50 e 70 %, da estendere progressivamente all’intero ATO;
· quale effetto di politiche tariffarie e sistemi di raccolta “porta a porta” (tali da far pagare in proporzione alla quantità di rifiuti conferiti), puntare alla riduzione in peso della frazione umida al conferimento, da un lato incentivando il “compostaggio domestico” e dall’altro l’uso di sacchetti traspiranti in bio-polimeri per ridurre l’umidità del conferito;
· analogamente, tramite le politiche tariffarie, incentivare la riduzione dell’ “usa e getta” nella ristorazione, nei bar, nei negozi di orto-frutta, nelle mense aziendali, negli alberghi, negli uffici;
· concordare e incentivare presso la grande distribuzione e possibilmente anche nelle strutture di minore dimensione (almeno i grandi negozi) la vendita di prodotti sfusi e alla spina (bibite, detersivi, prodotti vari per la casa, ecc.);
· incentivare e rendere operanti azioni di “vuoto a rendere di qualità” per contenitori in PET, vetro e alluminio, presso Centri Commerciali e negozi disponibili a tali azioni, con compensazioni per gli utenti “virtuosi” (es. “buoni-sconto”);
· attivare “Isole Ecologiche” in ogni Circoscrizione, promuovendone l’accettazione presso i Cittadini con campagne mirate ad evidenziare i vantaggi globali (economici e ambientali) connessi alla possibilità d’evitare la realizzazione di impianti ambientalmente molto più impattanti e costosi per la Collettività e per i singoli cittadini;
· utilizzare su larga scala mezzi mobili per la raccolta di ingombranti, eventualmente integrata anche con accordi con la grande distribuzione per il ritiro a costo minimo o possibilmente gratuito dei rifiuti ingombranti e il loro conferimento alle Isole Ecologiche (con sconti sulla TIA alle Aziende disponibili a tali azioni);
· dare piena attuazione alle attuali normative sugli “Acquisti Verdi” da parte degli Enti Pubblici. (Regioni, Province, Comuni, Circoscrizioni, ASL, Ospedali, ecc.), introducendo seri controlli e pesanti sanzioni in caso d’inadempienza;
· contribuire attivamente al controllo su AMIU e “Società 4R” per una corretta gestione della filiera del riciclaggio-riutilizzo con i consorzi come CONAI, COREPLA, ecc., con l’obiettivo di creare nuova occupazione nel settore.
Per le quote indifferenziate residue, si suggerisce di tenere aperte nel breve-medio termine diverse possibilità alternative:
· tendenzialmente privilegiare e valutare i Trattamenti Meccanico-Biologici (MBT), con recupero di metalli e altri materiali riciclabili, esaminando la possibilità (in deroga alla L. 36/2003) di messa a discarica della frazione indifferenziata pre-trattata, per eventuale produzione e recupero di bio-gas dalla frazione bio-degradabile, già in parte bio-ossidata così da eliminare la fase acidofila in discarica e i relativi percolati e gas tossici e corrosivi;
· oppure installare nei prossimi 2 o 3 anni alcuni impianti MBT di bio-ossidazione/bio-essiccazione spinta per produrre un semi-inerte da conferire a discarica per alcuni anni (come deposito temporaneo in deroga alla L. 36/2003 e chiedendo gli ampliamenti di discarica strettamente indispensabili per gestire la transizione);
· in parallelo proporre e/o partecipare a progetti UE di valutazione “ex-ante” di tecnologie innovative per la conversione termica delle quote residue (gassificazione di “qualità elettrica” e gassificazione-vetrificazione al plasma, senza combustione diretta dei rifiuti), in base a campionamenti in continuo dei micro-inquinanti (diossine e metalli pesanti) e relative analisi di laboratorio (es. metodo tedesco AMESA, o austriaco DMS), per un confronto attendibile di tali tecnologie, in base a prestazioni ambientali ed energetiche, qualità di sotto-prodotti e scorie, possibilità d’ottenere dai rifiuti idrogeno purissimo a basso costo (collegandosi a progetti UE e nazionali d’impiego di tale vettore energetico);
· utilizzare la flessibilità degli impianti di bio-ossidazione/bio-essiccazione per riconvertirli gradualmente al compostaggio di qualità e/o eventualmente alla produzione di CDR (da non bruciare, ma da avviare a gassificazione o gassificazione/vetrificazione, in base alla migliore tecnologia validata nei progetti di R.&S. comunitari e/o nazionali);
· dotarsi eventualmente di un impianto-pilota della suddetta migliore tecnologia, avendo esaminato accuratamente il mercato dei sotto-prodotti del trattamento delle quote residuanti dalla R.D., per sfruttare al meglio la flessibilità impiantistica dei gassificatori (che consentono la produzione d’energia elettrica o la micro-cogenerazione d’energia elettrica e vapore per combustione di syn-gas purissimo in ciclo combinato “turbina a gas/turbina a vapore”, o in motori a combustione interna tipo i diffusissimi GE-Jenbacher, e/o la separazione d’idrogeno purissimo per numerosi impieghi alternativi, e/o la sintesi di metanolo o etanolo per l’industria chimica o l’auto-trazione);
· qualora ci si doti di tali tecnologie, farle monitorare “ex-post” durante l’intero anno d’esercizio tramite le tecniche di campionamento in continuo e le analisi sistematiche dei micro-inquinanti, utilizzate in precedenza per la scelta della migliore tecnologia esistente, così da mantenere gli impianti in perfetto controllo, minimizzando le emissioni.
Con le decisioni di Comune, Provincia e AMIU d’insediare a Scarpino un inceneritore a griglia da 500mila ton/anno (in grado di bruciare le quote di rifiuti indifferenziati dell’intera Liguria), è stata scelta la tecnologia più antiquata nel sito meno adatto; peraltro tutta Genova è inadatta agli inceneritori, per l’orografia, la contiguità col mare e il contrasto con le norme internazionali sull’immissione di diossine in mare, la contiguità con abitazioni civili o con bacini idrici per l’acqua potabile, come i laghi del Gorzente (12,5 milioni di m3), il cui bacino imbrifero di 24 km2 è vicino a Scarpino e concentrerà soprattutto i metalli pesanti idro-solubili (ancorché emessi a norma di Legge) nell’acqua da bere di oltre mezza Genova.
Gli inceneritori per rifiuti rappresentano una tecnologia ultra-matura, suscettibile di progressivo superamento nei prossimi 10 anni, a seguito di una "rivoluzione culturale" mondiale nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti (in corso da tempo in molti Paesi, verso forme molto spinte di R.D. e riciclaggio) e anche di una nascente "rivoluzione tecnologica" (es. plasmi).
Gli inceneritori, anche i più moderni, sono ormai al limite delle possibilità tecniche d’aumento delle prestazioni ambientali ed energetiche e hanno un impatto ambientale comunque ancora troppo elevato (conseguenza della combustione diretta dei rifiuti, che genera fumi tra 5000 e 8000 m3/ton, i quali contengono diossine per almeno 30 picogrammi/m3 in media, oltre a metalli pesanti e a centinaia di altre sostanze chimiche tossiche). Sono troppo costosi e antieconomici, tanto da doverne far pagare l'ammortamento e la gestione ai cittadini, sia con la tariffa di smaltimento che con indebiti aiuti di Stato come i Certificati Verdi (che sottraggono fondi alle vere energie rinnovabili, in totale contrasto con le prescrizioni dell’UE).
Anche i rendimenti energetici sono troppo bassi (22 – 23 % d’energia elettrica nel caso dell’impianto previsto a Scarpino) e in generale è scarsa la flessibilità d'uso della poca energia recuperata (sola produzione d'energia elettrica o al massimo cogenerazione d'elettricità e vapore, senza altre possibilità tipiche invece di tecnologie differenti come la gassificazione).
Generano troppe scorie tossiche da smaltire, in media 300 kg/ton, di cui 30 – 50 kg/ton di micidiali ceneri volatili e fanghi salini, entrambi pieni di diossine e di metalli pesanti facilmente lisciviabili (da smaltire comunque in discarica); sono poco flessibili e inadatti rispetto alla varietà di tipologie di rifiuti da trattare (es. industriali non riciclabili, ospedalieri, cimiteriali, tossico-nocivi, amianto e derivati, solventi organico-clorurati, ecc.), che potranno anche in futuro residuare pur dalle politiche più virtuose di R.D. e riciclaggio. La flessibilità gestionale del processo è scarsa: troppo sensibili alle variazioni di composizione dei rifiuti (che incidono su regolarità di marcia ed emissioni), facilmente soggetti a guasti, sono lenti da spegnere e riavviare, con “transitori” di marcia troppo lunghi ed emissioni poco controllabili rispetto alla marcia normale.
Scarsamente modulari e affetti da gigantismo (per ragioni tecniche, connesse alla combustione diretta dei rifiuti e agli enormi volumi di fumi prodotti, ma soprattutto per ragioni d’economia di scala), determinano inutile spreco di risorse già in fase di costruzione (cemento, acciaio, volumetrie, suoli occupati eccessivi). Il gigantismo connesso alle economie di scala poi entra quasi sempre in conflitto con la riduzione all’origine della produzione di rifiuti e/o con la filiera della raccolta differenziata-riciclaggio/riutilizzo, che invece in termini di risparmi energetici e di riduzione dei gas a effetto-serra sono molto più efficienti degli inceneritori (il riciclaggio-riutilizzo di vetro e alluminio consentono risparmi di energie del 90 % rispetto alla produzione da materie prime; per le plastiche, oltre il 50 %). Indirettamente, quindi, gli inceneritori risultano dannosi anche all'economia nazionale e alla bilancia dei pagamenti con l'estero, specie nel nostro Paese povero di risorse, in quanto causano spreco di materie seconde riciclabili e di energie per la produzione di manufatti, fabbricati “ex-novo“ da materie prime e da quantità di energie d'importazione tra 2 e 10 volte maggiori.
L’occupazione in un grande inceneritore (60–70 addetti) è molto modesta rispetto alla filiera del riciclaggio-riutilizzo (studi dell'UE e di M.I.T.-U.S.A. dimostrano che tale filiera, se ben gestita e con una R.D. di qualità spinta sino al 60 - 70 %, può auto-sostenersi economicamente e generare occupazione 6-7 volte superiore a quella di un inceneritore.
Un mega-inceneritore finisce anche col divenire generatore/attrattore d’eccessivo traffico di mezzi per il trasporto di rifiuti e di scorie tossiche sull'intero territorio costituente il bacino di conferimento-smaltimento (conseguenza del gigantismo, che non consente soluzioni modulari e impianti a basso impatto distribuiti, ma un unico mega-impianto centralizzato a elevato impatto concentrato). A tutto ciò s’aggiunga un’incidenza negativa sul valore del patrimonio edilizio pubblico e privato nel raggio d’azione prevalente dell’impianto (almeno 5 – 6 km), patrimonio che può deprezzarsi del 25 – 30 %.
Paradossalmente, se anche esistesse un inceneritore a zero impatto ambientale da emissioni dirette sul sito, si dovrebbe comunque bocciarlo per una quantità di altre buone ragioni locali e nazionali, per puntare a soluzioni molto più articolate.
*chimico industriale, competente di Ricerca Operativa e d’Ingegneria dei Sistemi Impiantistici e Territoriali
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