venerdì 1 dicembre 2006

La corsa verso l'alto

Articolo di Paolo Gozzi, tratto da Il Ponentino di Marzo 2007

L’hanno già soprannominata “la corsa verso l’alto”: la scelta urbanistica vincente nel terzo millennio, almeno a Genova, sembra essere quella delle torri, dei grattacieli. Lo sviluppo verticale è quanto propongono, sempre più di frequente, gli architetti: Massimiliano Fuksas sta sconvolgendo Savona con un progetto di torre alta addirittura 123 metri. La “sindrome da grattacielo” ha colpito in particolare Genova dove, per citare il Ponente, basta pensare agli ottantacinque metri di Fiumara, o ai novantadue della costruenda Torre Elah di Pegli. A Molassana un grattacielo è stato proposto per riconvertire le aree dell’ex colorificio Boero, e da ultimo il progetto per l’area ex Verrina di Voltri, ventitrè piani sviluppati su centocinque metri di altezza, già oggetto di vibranti proteste da parte degli abitanti locali e di qualche amministratore.
La storia ci presenta la “tensione all’altezza” come una scelta dal forte carattere simbolico: il Faro di Alessandria, il Colosso di Rodi, le Piramidi furono opere in certo senso “moderne”, sconvolgenti per l’epoca in cui vennero realizzate, la cui ragion d’essere va ricercata anzitutto nella corsa alla grandiosità, nella ricerca di un “simbolo”. Con le giuste proporzioni, la stessa tensione la troviamo oggi nella scelta savonese di appellarsi al grande nome di Fuksas: prima ancora che esigenze edilizie, emerge l’aspirazione di creare un qualcosa di sconvolgente, un’opera di richiamo, desiderio testimoniato dall’originale design che l’architetto romano ha abbozzato per il suo grattacielo.

Lo stesso discorso non può certo farsi per Genova, ed in particolare per i progetti che interessano il Ponente genovese, idee che sembrano prescindere totalmente da ogni ambizione artistica o comunque, senza esagerare, architettonica. In questi casi, la ragione della scelta verticale non può che essere ricercata in motivazioni puramente economiche: aree relativamente piccole che vengono sfruttate al massimo delle loro potenzialità, con uno sviluppo verso l’alto che ha i grossi vantaggi, per chi cortruisce, di risparmiare in materiali e servizi, e di ritrovarsi con un gran numero di appartamenti da vendersi a caro prezzo. Meno immediato è invece comprendere i vantaggi che la popolazione otterrebbe da questa tensione verticale: in poche parole, cosa ci guadagna la cittadinanza a vivere in una città sviluppata verso l’alto?

Esigenze di spazi abitativi non sussistono più, se è vero che la nostra città vive da due decenni un pesante calo demografico. Certamente sono molte le famiglie senza una casa, ma non saranno certo questi soggetti a potersi permettere le nuove abitazioni. Da un punto di vista edilizio, la costruzione di nuovi grattacieli rappresenta, nella stragrande maggioranza dei casi, un duro colpo all’identità architettonica dei nostri quartieri: ammirando il panorama pegliese, balza subito agli occhi come le torri di via Opisso, cui si è recentemente aggiunta la Torre Elah, stonino prepotentemente con le costruzioni circostanti. Raramente infatti si assiste ad un impegno, da parte dei progettisti e dei costruttori, nel curare l’armoniosità delle imponenti opere con il tessuto urbanistico circostante, al fine di calarle nella realtà esistente in una maniera che sia quanto meno possibile traumatica. Ricadute si verificano anche sulla vita sociale dei quartieri, dove si va a snaturare del tutto l’identità abitativa e di vicinato, già in crisi per altre contingenti circostanze. I nuovi grattacieli raccolgono un tessuto sociale per nulla amalgamato, dove è difficile che gli abitanti si conoscano reciprocamente e dove i rapporti di vicinato sono del tutto inesistenti. Si prevedono spesso importanti servizi, ma mai negozi e botteghe, insediamenti che avrebbero invece un’importanza fondamentale nel concorrere alla vivibilità e alla sicurezza del territorio.

Il gran numero di persone concentrate in un fazzoletto di terra provoca poi conseguenze nefaste su traffico e viabilità, considerando che non ci si preoccupa quasi mai di “attutire il colpo” predisponendo le infrastrutture necessarie: si costruiscono nuovi insediamenti senza toccare il sistema stradale, eludendo così la vitale esigenza di ammortizzare la concentrazione di persone e, giocoforza, di automobili. In passato si sono costruiti interi nuovi quartieri, frustrando un sistema stradale predisposto per ben altre e più modeste esigenze. Oggi si compie lo stesso errore con i grattacieli, calati in molti casi in pieno centro cittadino.

Forse, l’unico vero vantaggio che ne deriva è il recupero di aree lasciate in balia del più avvilente degrado: è il caso di certi spazi dell’area ex Verrina di Voltri, ma anche dell’insediamento che fu in passato dell’Elah, tenuto vuoto per anni e salvato dalla deriva solamente dalla presenza, nei locali dismessi, della Scuola Musicale Conte. Ma non ci sono mezze misure: quando si decide di recuperare le aree, lo si fa in grande, spremendo al massimo il territorio e cercando di sfruttarne al limite le potenzialità. Spesso si promettono e si offrono nuovi servizi, presentandoli come una sorta di contropartita per la cittadinanza. L’auspicio, ogni volta, è che la politica sappia ridimensionare gli interessi privati, dando il giusto peso all’interesse che più di tutti gli altri dovrebbe contare: quello pubblico.

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