venerdì 1 dicembre 2006

Francesco Rutelli sul Partito Democratico

Tratto da Europa del 3 gennaio 2007:

Il 2007 vedrà la decisione della Margherita – e certamente anche dei Ds – di dare il via al Partito democratico. Il lieto evento produrrà il superamento dei partiti promotori come conseguenza di un fatto politico enorme: la costituzione del primo partito italiano, chiamato a nascere non sulle macerie di sconfitte o scissioni, ma per una difficile, lucida decisione politica. La prima domanda cui occorre rispondere riguarda il perché. Perché, innanzitutto, dirigenti, militanti ed amministratori dei due maggiori partiti del centrosinistra siano orientati ad affrontare dubbi, risolvere problemi, e vincere argomentazioni critiche che appena un anno fa apparivano difficilmente superabili. I Dl- Margherita nell’ottobre 2005 avevano a larga maggioranza giudicato non credibile la confluenza in un indistinto “contenitore dell’Ulivo”; in quell’occasione aprirono esplicitamente la prospettiva del Pd. I Ds convergono oggi verso un partito nuovo e accolgono una denominazione, Partito democratico, che comprenda il concetto e l’identità della sinistra – democratica – in un nuovo soggetto politico di centrosinistra. La mia risposta alla domanda è: per motivazioni strategiche, valutazioni pratiche, solidi argomenti politici. In cima vi è un atto di volontà: dopo tredici anni di confusa ed inefficiente transizione politico-istituzionale, un gruppo dirigente, prescindendo da rivalità personali e miopi interessi di gruppi, constata assieme a Romano Prodi l’indispensabilità di dare al Paese un soggetto- guida, al centro delle proposte di riforma economica e sociale non più rinviabili se vogliamo salvare l’Italia e le generazioni prossime dalla marginalità (cui lentamente ci stiamo assuefacendo); e constata la sostanziale convergenza di culture ed orientamenti di fondo tra i due partiti.
Attraverso di essa e sulla base di un progetto coerente e convincente si potranno coinvolgere molte altre energie democratiche del paese. Le valutazioni pratiche non sono meno decisive. La Margherita prende atto che il suo significativo successo (consensi tra il 10 e il 15 per cento, mentre il più strutturato tra i fondatori, il Ppi, oggi certamente da solo non potrebbe raggiungere che una percentuale assai più bassa) deve essere reinvestito, anziché coltivato in un’idea di velleitaria autosufficienza, coerentemente con la missione originaria concepita nel 2001. È bene che ciò avvenga con una convergenza unanime nel partito in vista del Congresso. L’amico Adamoli mi ha interpellato qualche giorno fa su Europa: siamo sicuri che convenga, pur in una sostanziale unità, ricercare l’unanimità? Io credo convintamene di sì. Non occorre cancellare differenti sensibilità e solidità politiche e di gruppi dirigenti territoriali, ma è necessario che nel negoziato costituente tra i due partiti principali (che presto sarà allargato a diverse altre forze) siamo capaci di rappresentare tutta intera la forza della Margherita. Proprio come è accaduto, con indubbi risultati positivi, nella fase elettorale e in quella post-elettorale. I Ds, per parte loro, preso atto definitivamente dell'impossibilità di raggiungere e superare il 20 per cento dei voti, scelgono la convergenza delle migliori culture democratiche e riformiste italiane rispetto a superati disegni di egemonia e rivalutano così una delle parti più significative della loro storia.
In termini politici, credo che tutti dobbiamo puntare sul premio alla aggregazione. Inesistente per l’intero corso del dopoguerra, oggi esso appare plausibile, come si è manifestato già in due occasioni: la nascita elettorale della Margherita nel 2001 e la lista dell'Ulivo alla Camera – premiata rispetto alle liste distinte di Ds e Dl al Senato – nel 2006. [...]

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