venerdì 1 dicembre 2006

Mons.Bagnasco: lavoro necessità vitale e affermazione di libertà

Omelia di S.E. Mons. Angelo Bagnasco, durante la Santa Messa per il Mondo del Lavoro in occasione della Solennità di San Giuseppe (Lunedì 19 Marzo, Cattedrale di S.Lorenzo). Tratta dal Sito della Diocesi di Genova

Carissimi Fratelli e Sorelle del mondo del lavoro!

È con gioia e non senza emozione che mi rivolgo a voi nel giorno caro della festa di San Giuseppe, esempio e patrono dei lavoratori. L'altro tradizionale appuntamento sarà l'annuale pellegrinaggio al Santuario della Madonna della Guardia. La Chiesa guarda a voi con stima e affetto: onora in voi la dignità della vostra fatica per il bene delle vostre famiglie e dell'intero corpo sociale.

1. La figura esemplare di san Giuseppe, uomo silenzioso e operoso, ci rimanda al villaggio sperduto e caro di Nazaret: lì la sacra Famiglia ha vissuto per trent'anni una vita simile a quella di tante famiglie di ieri e di oggi. I doveri di ogni giorno, i lavori domestici, la bottega di falegname, l'educazione del piccolo Gesù, i rapporti di vicinato, l'assiduità alla Sinagoga, l'ospitalità dei poveri...non sono forse gli ingredienti anche della nostra vita? Certo, i contesti cambiano, i ritmi e le esigenze anche, ma in fondo il cuore dell'uomo desidera sempre e dovunque le stesse cose: la serenità interiore, la dignità della vita, la sicurezza, un giusto benessere, la soddisfazione di realizzare qualcosa di utile per sé e per gli altri. Le modalità perché ciò avvenga sono diverse per ciascuno; ma l'anelito è il medesimo.

2. Il pensiero sociale della Chiesa ritiene che il lavoro ha una rilevanza particolarissima nella vita degli individui e delle società. Esso è nello stesso tempo una necessità vitale e un'affermazione di libertà. E' attraverso il lavoro, infatti, che l'uomo esprime se stesso, le sue capacità d'ingegno, di abilità, di perizia. Ma anche mette a prova le sue doti di cuore nel segno della capacità di relazione verso i propri colleghi, di collaborazione con gli altri. Sviluppa il senso di appartenenza al corpo lavorativo, sapendo che la qualità di un'impresa dipende non solo dagli utili, ma anche da quel bene intangibile che è il "clima umano partecipativo", bene che non si può comprare né produrre meccanicamente, e che non è proprietà esclusiva di nessuno.

3. Tutti sappiamo che la società non è per se stessa, ma è a servizio della persona, anche se oggi è necessario fortemente ricordare che l'individuo non è isolato dall'articolato contesto di relazioni che costituisce la società stessa. Se l'individuo, infatti, assolutizzando la sua libertà sconfina nell'individualismo, perde se stesso e danneggia la società intera di cui peraltro non può fare a meno. E', questa, una forte tentazione del mondo occidentale che aggredisce quell'umanesimo trascendente e solidarista che ha costruito la nostra storia e creato la nostra cultura. D'altra parte, la società è fatta di persone ed ha il compito di creare le condizioni del "bene comune", concetto che già San Tommaso ha elaborato nel XIII secolo ed è stato ripreso e approfondito dalle Encicliche sociali. Il bene comune – possiamo dire – è il bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. Ha dunque una duplice nota caratteristica: una quantitativa – in quanto deve essere accessibile a tutti gli individui di una comunità – e l'altra qualitativa – in quanto deve riguardare tutte le dimensioni che costituiscono la persona, sia quelle di ordine materiale sia quelle di ordine etico e spirituale. In questa prospettiva, possiamo dire che il bene comune è "l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività, sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente" (Gaudium et Spes 26).

4. Una delle condizioni qualificanti e irrinunciabili che costituiscono il bene comune è certamente il lavoro: senza il lavoro, infatti, non c'è casa; senza lavoro non c'è famiglia; senza lavoro non esiste possibilità di futuro né per il singolo, né per la società. E il lavoro deve essere sicuro, perché senza certezze di partenza non si danno prospettive e rischi. Se è vero che - oltre il lavoro - anche altri non piccoli elementi entrano in gioco nella programmazione e nella solidità della vita personale e sociale, è certamente vero che il lavoro sufficiente e sicuro è una base culturalmente imprescindibile per la stabilità interiore delle persone. E la sicurezza interiore degli individui è presupposto della serenità e della sicurezza sociale. Quando i singoli vivono in stato di precarietà – affettiva, economica, lavorativa, abitativa, relazionale...- l'intero sistema sociale ne risente e diventa fragile, alla lunga invivibile. Subentrano meccanismi di sospetto e di contrapposizione, di difesa e di paura. Tutto si fa conflittuale.

5. La Chiesa e l'esperienza umana universale affermano che il lavoro non basta da solo per creare personalità interiormente unificate e serene; così come non crea in modo automatico delle collettività sicure. Esempi anche recenti e vicini lo testimoniano. E' necessario anche, e ancor prima, un'anima, cioè un insieme di valori alti e veri, spirituali e morali, religiosi, che diano prospettiva e ali all'insieme dei beni materiali. Sarebbe illusorio ritenere che una rete sociale di assicurazioni esaurisca il bene comune, e quindi la giustizia che è lo scopo della politica. Una visione puramente immanente e materialistica appiattisce sul livello del consumismo, non genera coscienze nobili ma individui sazi: come tali infelici e incapaci di guardare con acutezza, e partecipare con impegno e sacrificio a costruire il bene comune.

6. In questo tempo di Quaresima continuo l'antica tradizione della celebrazione della Pasqua negli ambienti di lavoro, consuetudine che risale al Cardinale Giuseppe Siri che tanta fattiva attenzione ebbe verso i lavoratori e i loro problemi. Con grande ammirazione tocco da vicino il vostro lavoro nella sua sede naturale che è l'azienda. Ovunque esperimento simpatia e accoglienza nei molteplici incontri con le direzioni, le organizzazioni sindacali, con i lavoratori, nelle visite ai vari reparti degli stabilimenti. Questa prima esperienza d'incontro, di dialogo, d'intesa semplice e schietta, mi fa toccare con mano quanto cammino hanno fatto insieme la Chiesa genovese e il mondo del lavoro di questa Città. Continueremo con stima e convinzione per il bene di tutti.
Scopro con soddisfazione un patrimonio di grande professionalità, l'eccellenza tecnologica e industriale, i preziosi saperi che innervano l'attività manifatturiera genovese. Tutto ciò è presupposto per l'innovazione e la creazione di prodotti capaci di rispondere alle crescenti esigenze dei mercati. E' diffusa la cultura industriale genovese iniziata centocinquant'anni fa e tutt'ora vitale nonostante le difficoltà e le ferite degli ultimi decenni.
Da molte parti mi è stato confermato che nella misura in cui le aziende saranno capaci di interagire tra loro in un sistema virtuoso e lungimirante, aperto alla collaborazione con l'Università, si potranno creare nuove opportunità di lavoro per i giovani. Ogni sforzo e iniziativa in questa direzione vanno apprezzati e fortemente incoraggiati.
Il patrimonio industriale della Città, unito all'attività portuale, non solo va difeso da ogni rischio di dispersione ma, ancora di più, va consolidato e potenziato per uno sviluppo più ampio, innovativo e duraturo. Si riaffaccia la collocazione geografica di Genova: collocazione splendida ma problematica. Ben sapendo il carattere assolutamente vitale di nuove e moderne vie di comunicazione con le regioni oltre i nostri Appennini – per raggiungere anche i Paesi del Nord Europa – dobbiamo saggiamente amministrare gli spazi che abbiamo in vista del lavoro, primo e vitale obiettivo; coscienti che tutti devono fare la propria parte.

Affido queste riflessioni alla vostra competenza e alle vostre responsabilità; ma anche le affido a Dio per intercessione di San Giuseppe. Sono espressione dell'amore della Chiesa di Genova per la Città e del desiderio di contribuire al bene di tutti. Sono l'espressione della mia stima e della mia vicinanza a quel mondo nobile del lavoro che ho imparato a conoscere da bambino sul volto e sulle mani di mio padre, operaio di fabbrica, umilissimo uomo ma grande maestro di vita.

Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova

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