venerdì 1 dicembre 2006

Anche le Foibe non vanno dimenticate

I carri trainati dai buoi che si allontanavano in direzione di Trieste erano solo l’ultima pagina di una triste storia chiusa con la spartizione dei territori fra Italia e Jugoslavia. E tutte quelle famiglie costrette a lasciare le loro case per poter andare a vivere in Italia erano l’ultima parte del caro prezzo della seconda guerra mondiale che la Venezia Giulia pagava per conto di tutti gli italiani. Ora, in quei territori ad est del confine, di italiani non ce ne sono più: a migliaia sono stati sterminati nelle foibe, mentre gli altri sono stati costretti all’esilio. I superstiti di questa terribile pulizia etnica sono sparsi in Italia e nel mondo, e conservano un terribile ricordo di quanto accadde fra il 1943 e il 1947 in quelle regioni allora italiane.

Una storia spesso dimenticata, trascurata, lasciata in balia di un atroce silenzio e soffocata sui libri di scuola da altre tragedie contemporanee, ma non certo più terribili. Basti pensare che solo nel 1982 lo stato italiano si interesserà della sorte dei nostri desaparecidos, dichiarando le foibe di Basovizza e Monrupino monumenti di interesse nazionale. Una storia che affonda le sue radici più profonde in anni non sospetti, ancora precedenti alla prima guerra mondiale, derivante da eterni rapporti di conflittualità fra le varie stirpi del mosaico jugoslavo. Conflitti in cui non tardarono ad inserirsi prepotentemente tutti i protagonisti della seconda guerra mondiale, tracciando un solco di odi e rancori di cui alla fine pagheranno il conto gli italiani radicati da secoli nei territori della Venezia Giulia.

Dopo la dominazione nazi-fascista, i partigiani jugoslavi conquistarono l’Istria per la prima volta poco dopo l’8 settembre 1943, approfittando di una situazione politicamente e socialmente molto incerta. Il 26 settembre, a Pisino, Tito dichiarò ufficialmente la separazione dell’Istria dall’Italia: dopo aver abolito tutte le leggi fasciste, il capo dei comunisti jugoslavi promise la restituzione all’Italia di tutti gli italiani trasferiti in Istria nel 1918. Questo non solo non avvenne, ma proprio in quei giorni venne istituito un “Tribunale del Popolo”, guidato da Ivan Motika, che sarebbe servito a dare uno sbocco legale alle orrende stragi di italiani che seguiranno.

L’inizio dell’olocausto italiano, messo in atto dalla “ghepeù” slava, si ebbe con l’arresto di moltissimi italiani, che venivano rinchiusi nel castello di Montecuccoli e sottoposti a violenti e disumani interrogatori. L’esecuzione poteva avvenire in moltissimi modi, ma, considerata la pressione tedesca che ricominciò verso la fine del settembre 1943, i titini ritennero più pratico e occultabile il metodo dell’infoibamento.

Nelle foibe, voragini naturali diffusissime in Istria, fra il 1943 e il 1947 furono gettati dai partigiani titini migliaia di esseri umani, vittime dell’odio e della violenza. Il numero esatto di quante persone morirono barbaramente in quegli inghiottitoi non si potrà mai avere, così come l’identificazione dei cadaveri, nonostante gli sforzi di molti pietosi ricercatori, resterà per sempre un mistero. Le donne venivano violentate prima di essere infoibate, e gli uomini subivano sevizie disumane. L’accanimento dei comunisti titini su questa povera gente non si fermava neppure davanti alla morte: dopo l’infoibamento veniva lanciato sul mucchio di cadaveri un cane nero vivo, che secondo una leggenda avrebbe latrato in eterno togliendo per sempre agli uccisi la pace.

Azioni terribili, che andavano al di là di ogni azione bellica, ponendosi come unico mandante l’odio e come unico obiettivo la distruzione delle orme di italianità rimaste in quei territori. Le esecuzioni e le torture furono così terribili che gli istriani salutarono come una salvezza il ritorno dei tedeschi nelle loro terre. In realtà per gli sfortunati italiani le sofferenze continuarono, fino a peggiorare quando il primo maggio del 1945 Trieste venne “liberata” dal regime nazista. Massacri, infoibamenti, fucilazioni e deportazioni verso l’ignoto si susseguirono per alcuni mesi, fino a quando gli italiani superstiti non abbandonarono le loro case e i loro averi per trovare rifugio in Italia. Con loro anche serbi, erzegovini, sloveni, dalmati, tutti timorosi delle terribili rappresaglie titine. Più che colpire i fascisti, a Trieste e nell’intera Venezia Giulia si faceva pulizia di tutto ciò che era italiano.

Gli infoibamenti collettivi erano la norma; le vittime venivano incolonnate e legate col filo di ferro, e una raffica di mitra sui primi della fila bastava per trascinare tutto il gruppo verso quel baratro dove i vivi agonizzavano accanto ai morti. Per tutto il 1946 e il 1947 il fenomeno della pulizia etnica continuò inarrestabile, ed era ormai palesemente certo che le stragi erano mirate contro gli italiani di qualunque fede politica e di qualunque estrazione sociale, facendo decadere la tesi che vedeva le foibe come “tombe di fascisti”.

L’esodo degli italiani registrava ormai in quegli anni oltre trentamila profughi, e il paradosso vuole che questa povera gente venisse accolta freddamente nella madre patria. In certi frangenti della sinistra prevalse il timore che la denuncia delle efferatezze titine potesse suonare come una critica generale al Comunismo. Più recentemente, tanti sono stati i tentativi delle destre di strumentalizzare la tragedia: e nessuna delle due posizioni ha certo contribuito a rendere onore alle tante vittime di questa spirale d’odio.

Il buon senso, col tempo, sembra avere prevalso: nel 2004 il Parlamento italiano ha infatti istituito il 10 febbraio come il Giorno del Ricordo “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della piu' complessa vicenda del confine orientale” finalmente dando un riconoscimento ufficiale alla tragedia e ai tanti martiri che, a prescindere dal colore politico, pagarono con la vita la sola colpa di essere italiani.

"Anche le Foibe non vanno dimenticate"

Racconto vincitore nel 2003 del Concorso Regionale "Il sacrificio degli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia: mantenere la memoria, rispettare la verità, impegnarsi per garantire i diritti dei popoli”

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